Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571-1610), a meno di 20 anni trascorre un anno in carcere a Milano, come si evince da un testo dell’epoca: “Fece delitto. Puttana scherro et gentiluomo; scherro ferì il gentiluomo et la puttana sfregia…fu prigion un anno et lo volsero veder vender il suo”. In una notte del 1591 partecipa con altre persone, infatti, ad una rissa nel corso della quale viene sfregiata una prostituta e un poliziotto (lo scherro) rimase ucciso. Era violento e molto irrequieto. Si traferisce poi a Roma dove, tra gloria e perdizione, conduce una vita dissoluta. Prende parte a numerose altre aggressioni fino all’omicidio, del 1606, dopo il quale fugge e vive tra Napoli e Malta e Porto Ercole, dove muore.
Il giovane Adolf Hitler vuole essere pittore e architetto. Intende creare delle opere d’arte. Pensa solo a quello. Fino allo scoppio della prima Guerra Mondiale produce centinaia di dipinti e disegni, utilizzando come tecnica privilegiata l’acquerello. Un biografo del dittatore, Charles Bracelen Flood, scrive: “Hitler aveva un’inclinazione per la pittura e riempiva le stanze dell’appartamento al numero 31 di Humboldstrasse con i suoi disegni, sognando di diventare un grande pittore”. Hitler stesso nel Mein Kampf racconta che, durante gli anni di Vienna, dipingeva da uno a tre acquerelli al giorno. Chissà come sarebbe cambiata la storia del Novecento se Adolf fosse stato accettato all’Accademia di Vienna.
Celebri serial killer come Patrick Kearney (uccide 18 autostoppisti), Elmer Wayne Henley (27 omicidi di minorenni a sfondo sessuale), Theodore Robert detto Ted Bundy (30-35 donne massacrate), il nostrano Pietro Pacciani, collegato ai delitti del cosiddetto “mostro di Firenze”, il satanista assassino Charles Manson, sono accomunati da una comune passione: la pittura.
Genio creativo e follia distruttrice: artista e omicida. Due figure agli antipodi?  Non è proprio così. “Se volete capire l’artista, guardatene l’opera. Non si può comprendere ed apprezzare Picasso senza studiarne i dipinti. E i serial killer pianificano il loro lavoro con la stessa accuratezza di un pittore. Per loro si tratta di arte e non smettono mai di ritoccare e perfezionare”. Queste le parole di John Douglas, agente speciale dell’FBI e noto profiler. Recenti studi del criminologo Ruben De Luca hanno confermato questa teoria da un punto di vista accademico, rendendo il paragone sempre meno assurdo, soprattutto se si parla di artista figurativo (pittore e scultore in particolare), dal momento che in questo caso la modalità di pensiero è la stessa dell’assassino seriale: un pensiero per immagini. Tutti i serial killer manipolano, infatti, il cadavere nella stessa maniera in cui uno scultore, una volta modellato il materiale scelto per creare l’opera, lo dispone in maniera simbolica sulla scena del crimine, o ancora come fa un pittore quando assembla l’insieme degli elementi che andranno a costituire il quadro. Entrambi, insomma, mettono in gioco un’energia molto intensa nelle rispettive azioni ed entrambi traggono origine dalle loro fantasie che abitano in pianta stabile la loro mente.
La creazione artistica è per definizione un processo unico e compiuto in sé stesso, ma anche ripetitivo perché l’artista, dopo aver completato un’opera d’arte, sente il bisogno imprescindibile di creare qualcosa di nuovo (coazione a ripetere). Stesso vale per il serial killer, il quale arriva all’omicidio solo una volta che è giunto al termine di un lungo percorso psicologico in cui le fantasie onnipotenti di morte si fanno sempre più pressanti, fino a realizzarsi concretamente nell’eliminazione di un essere umano, attività che soddisfa il bisogno di dominio altrimenti irrisolto. La gratificazione ottenuta dal primo omicidio è forte, ma non è mai così perfetta come invece lo è nel mondo mentale in cui l’ha vissuta decine e decine di volte e, proprio a causa di questa insoddisfazione latente, l’assassino, come l’artista, sarà portato a ripetere l’esperienza più volte, sempre nella speranza di raggiungere quel livello di perfezione agognato.
Esaminando un’accurata casistica internazionale sono moltissimi i serial killer che, una volta catturati e rinchiusi in prigione, scoprono una improvvisa passione per la pittura e iniziano una carriera nel campo artistico. Tanto che sempre il criminologo De Luca qualche anno fa arriva ad ipotizzare un trattamento terapeutico degli assassini seriali che utilizzicome parte integrante una forma specifica di arte-terapia per canalizzare e trasformare la pulsione distruttrice in un’energia creatrice che non perda mai di vista il ruolo centrale del mondo fantastico interno al serial killer. Ma si spinge anche oltre nella provocatoria proposta. Si propone anche di usare lo stesso trattamento su soggetti che presentano particolari caratteristiche di personalità indicative di una possibile insorgenza del comportamento omicidiario seriale. E propone di farlo prima che sia troppo tardi…

di Carla Isabella Elena Cace
 


luogo: