L’artista siriano Tammam Azzam (Damasco, classe 1980), qualche tempo fa ha realizzato una serie di immagini ibride delle macerie causate dal conflitto in atto cui ha sovrapposto alcune grandi opere d’arte. Sulle rovine del Syrian Museum, Azzam ha riprodotto l'”Urlo” di Munch, il “Bacio” di Klimt e - tra gli altri capolavori - le “Danzatrici” di Matisse, per denunciare "lo sconvolgimento politico e sociale in Siria e i cicli di violenza e distruzione che lacerano il Paese". Una provocazione? Una riflessione? Certamente lo spunto per porre sotto i riflettori un’altra #Siria, quella della distruzione sistematica delle opere d’arte.
Al di là della denuncia degli scempi sui siti archeologici e musei che contengono beni di inestimabile valore, la domanda che dovremmo porci è la seguente: che fine fanno le opere d’arte di medie e piccole dimensioni? La verità, grottesca e tragicamente vera, è la seguente: il grande magnete del contrabbando internazionale di opere d’arte saccheggiate dal Medio Oriente siamo noi. Basta guardare attentamente su eBay, sui cataloghi di case d’aste londinesi, nelle vetrine d’antichità online, per capire come questo commercio sia alimentato da istituzioni, musei, gallerie, collezionisti, mercanti occidentali, ma anche dal semplice acquirente.
Questo il percorso via mare e terra del contrabbando di questi frammenti e reperti: centro di smistamento in Libano, a Beirut, porto fiorente (1 milione di container, 50 agenzie di spedizione) e snodo fondamentale per il traffico attraverso i tir. La rotta via mare è verso i porti atlantici (solo il 2-3% dei container è controllato), via terra si passa per i Balcani utilizzando documenti internazionali di trasporto che permettono passaggi inviolati alle dogane e alle frontiere, con controlli solo all’origine e a destinazione. Una volta in terra europea o Inghilterra, alle opere viene ridata verginità producendo una “carta d'identità” contraffatta da esperti di settore per evitare il reato di ricettazione. Con questi documenti e altri piccoli passaggi le opere possono essere immesse nel mercato.
Tempo fa, si era diffusa la voce di inviare i “caschi blu” dell’Unesco per difendere le antichità siriane. Ma l'Unesco, finora, è stato solo un produttore di comunicati stampa. La favola dei monuments man targati Unesco è rimasta tale. Come scrive, già nel 2015, Luca Nannipieri nel libro Arte e Terrorismo: “Ecco cosa si può fare. I contingenti militari e i servizi di sicurezza, impegnati in operazioni di guerra o di pace, si dotino al loro interno di nuclei operativi che abbiano lo specifico compito di documentare le distruzioni o i saccheggiamenti. Attraverso satelliti o droni o presa diretta, spedire il materiale riservato ad un’istituzione competente, specificatamente attiva su questo delicatissimo e planetario problema, vagliare il materiale informativo che viene fornito e rielaborarlo per capire che cosa è stato distrutto, che cosa ha necessità di essere preservato, ricomposto, restaurato, che cosa deve essere messo in salvo in caso di una recrudescenza delle attività militari, in che modo ricostruire un dialogo non ‘distruttivo’, ma propositivo, tra patrimonio e popolazione circostante”.
 
Emblema di questa ecatombe nell’ecatombe è Khaled Asaad, l’archeologo di Palmira decapitato dai miliziani dell’Isis. Khaled si è fatto uccidere pur di non dire il luogo in cui aveva nascosto i tesori di Palmira. In tanti hanno proposto di intitolargli musei, le bandiere sono state esposte a mezz’asta per lui. Eppure ora il nome di Khaled è scomparso. Nessuno si ricorda di lui, come dei tesori che ha custodito a costo della vita. Rimane solo la magra consolazione del fatto che qualcuno, un sognatore, si è sacrificato in nome della Bellezza. Una speranza, una fioca luce a disprezzo del Nulla. 

Sturm Und Art 
Carla Isabella Elena Cace


luogo: