Diciamolo una volta per tutte, Der Wanderer über dem Nebelmeer, il celebre Viandante davanti al mare di nebbia (e non “sul mare”) del 1818 circa, il dipinto più noto e famoso di Caspar David Friedrich è un’icona pop, talmente sfruttata e banalizzata che si fatica a non associarne l’immagine alle brochure delle gite in montagna o ai blog letterari di mezzo mondo. Eppure “pop” nell’arte non è una bestemmia, ma anche sinonimo di universalità, trasversalità, eternità. Valenze che, certamente, avrebbero esaltato la temperie romantica che ha dato i natali al nostro amico. L’uomo non è più “al centro” e non accadeva dal Rinascimento. Anzi, nella gerarchia del quadro, il Viandante non conta nulla. La natura è la vera protagonista e la sua personificazione avviene attraverso l’episodio meteorologico del “mare di nebbia” in cui è annullata l’individualità: il Viandante – qui sta la meraviglia – è tutti noi, per questo lo amiamo. Un eroe contemporaneo che non porta su di sé alcun carattere distintivo, né segni di una bellezza fisica o di forza classica. Si è arreso al mondo e al suo destino e si avventura verso il futuro, senza certezze. Questo profilo psicologico sussiste tutt’oggi nella maggior parte dei protagonisti della narrativa e del cinema occidentale. I colori del paesaggio montano dell’Elbsandsteingebirge della Boemia, ingrigiti dalla prospettiva aerea di natura leonardesca, si fondono con quelli caldi del cielo riflessi dalla nebbia in basso, scriverebbe un accademico. Ma lui non lo sa e non gliene frega niente. E questa è la sua forza.
Carla Isabella Elena Cace
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